martedì 8 marzo 2011

Commento su “Penelope alla guerra” di Oriana Fallaci (dal club di lettura) Di Margherita Mazzocchi

Per tutta la durata della conversazione sul libro “Penelope alla guerra” della Fallaci, ho avuto la sensazione che la storia in sé non avesse regalato delle grandissime emozioni e soddisfazioni ai gentili lettori che hanno partecipato alla serata, ho avuto però, la ferma sensazione che questo fosse dovuto a quanto, anche in Belgio, la scrittrice Oriana Fallaci venga amata. Ed è per questo motivo che la nostra conversazione sempre più spesso si spostava sulla sua persona e sulla sua personalità con la sua indomabile curiosità professionale e umana. Spesso si parlava di altri suoi famosi romanzi, è davvero impressionante quanti suoi libri siano stati letti dai lettori che quella sera sedevano al club di lettura, per citarne alcuni: Il sesso inutile, Lettera a un bambino mai nato, Un uomo, Insciallah, La rabbia e l'orgoglio, La forza della ragione. Con qualche fatica si riusciva comunque sempre a tornare alla storia di Giò, la protagonista del libro, e dei suoi amici Richard, Bill e Martine. Personaggi, tutti di fantasia, di cui abbiamo potuto ammirare la stravaganza nel loro essere, a tratti, chi più chi meno, tutti in qualche modo particolari e a volte anche capaci di dare certi inattesi risvolti umani e persino sentimentali.
Forse, tra tutti, Giò è il personaggio più regolare, più autentico della storia e probabilmente per questo si rifiuta di continuare a vivere in “quel” modo, in "quel" mondo e decide di tornare “a casa sua”. Tutti sappiamo però che non torna a Bologna per “tessere la tela”. Infatti con la stessa carica con cui è partita per l'America riparte poi per una nuova guerra ma verso dove e contro di chi questa volta? No, questa volta non viaggerà, resterà a lottare nella sua terra dove lotterà con determinazione contro quel sistema che vuole la donna nel solito ruolo che a lei non aggrada e continuerà ancora a lottare affinché verranno considerate le esigenze femminili.
Rimarrà in ogni caso la stessa scrittrice, con gli stessi dubbi e interrogativi, lo stesso disperato amore per la vita, alla continua ricerca della sua identità e della sua libertà.
Ma vediamo ancora una volta più da vicino la storia di Giò. Inviata da un produttore cinematografico per qualche tempo a New York per familiarizzare con l'ambiente dall'interno e per cavarne un soggetto per un film, la ragazza Giovanna detta Giò (nome che preferisce in quanto più mascolino) parte con l'euforia di conoscere un mondo diverso dal quale è stata sempre affascinata ma parte anche con la speranza di ritrovare Richard, un americano che, militare negli anni di guerra, si rifugiò a casa sua scappando da un campo di concentramento, e fece innamorare di sé la ragazzina che lei allora era ancora. A prima vista l'America con la sua meccanizzazione sembra combaciare con la descrizione che di quel paese Giò si porta dentro, e sul momento non incrina il suo entusiasmo. Ma poi succede che Giò ritrova Richard, e che riprende, portandolo questa volta sino in fondo, quel lontano legame adolescenziale idealizzato in tutto questo tempo, e allora proprio attraverso l'inibito Richard lo scontro con la realtà si fa aspro e umiliante: la giovane donna fa ritorno a Roma, dopo un breve periodo vissuto nella sua «favolosa» America, portando con sé la consapevolezza dell'inconciliabilità di due mondi, l'inconciliabilità fra noi e noi stessi.
Sembrerebbe, così raccontata, una favoletta, ma il romanzo è al contrario drammatico e anche aspro visto che in definitiva il messaggio che cogliamo non è che quello, poco consolante, che possiamo ricavare dalla lettera di Bill a Giò che torna a Roma sconfitta: «Non ti protegge nessuno dal momento in cui nasci e piangi perché hai visto il sole. Sei sola, sola, e quando sei ferita è inutile che aspetti soccorso»... E questo infatti, come tutti ben sappiamo, non è una favola, anzi molto spesso, se non sempre, è la nostra stessa triste realtà.
Credo che la Fallaci sia stata realmente una moderna Penelope andata in guerra e che ci abbia lasciato un libro violento ma anche tenero, spregiudicato e pure moralistico, crudele quanto appassionato, disperato ma molto ottimista.
E' stato un grande piacere aver avuto l'occasione di parlare ancora una volta con voi, gentili lettori, di sentimenti, di quelli narrati nel libro ma anche di quelli reali. E' stato molto piacevole ascoltarvi e insieme parlare dei nostri ricordi, dei nostri tempi, di quando eravamo dei ragazzini alle prime cotte, delle nostre piccole guerre ma anche di quelle dei nostri figli al giorno d'oggi. Grazie a voi per aver partecipato.

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